Cracco: I miei primi sei mesi in Galleria
Ciak numero uno, in esterna, al bistrot, piano terra, a stretto contatto con il rumore vivace della gente che passeggia freneticamente in Galleria. Carlo Cracco esce per un attimo a salutare il cronista e accade il finimondo: il via vai incessante e festante si trasforma subito in isteria collettiva, si crea all’improvviso un mucchio selvaggio di persone che tira fuori frettolosamente il telefonino e scatta all’impazzata, esclamando e urlando come se avessero visto Cristiano Ronaldo seduto a sorseggiare un caffè. “C’è Cracco c’è Cracco”. E’ una scena che racconta molto del potere della tv commerciale e americana (Masterchef e Hell’s Kitchen sono prodotti statunitensi, fosse per le idee della tv italiana non si andrebbe oltre Don Matteo e Nonno Libero), così come la dice lunga sul fascino e la popolarità dello chef vicentino. Perché una cosa va detta: la folla che popola la Galleria ha poco a che fare con il target super selezionato di un ristorante stellato, eccezioni a parte. E’ evidente che lo conoscono e riconoscono in quanto personaggio televisivo e stop: probabilmente nessuno di loro ha mai assaggiato l’insalata russa caramellata, lo spaghetto al tuorlo d’uovo, oppure la Sea Salad. Niente di male, ci mancherebbe, ma era solo per sottolineare come un cuoco sia diventato star di prim ordine solo perché fa il cattivo in tv, oppure promuove dei marchi in quanto testimonial. Adolescenti, pensionati, gente in grisaglia e doppio petto, c’è di tutto fuori dal locale.
Ciak numero due, all’interno, primo piano: sono le ore 15,15, il servizio sta per terminare, gli ultimi clienti si preparano ad uscire e il dispiacere che si legge sul loro viso non può essere raccontato in poche frasi. E’ come se un bel sogno stesse per concludersi, come se volessero tornare a sognare da capo, c’è un misto di magone e disperazione, manca solo che implorassero “Ancora un quarto d’ora, per favore”. In rapida sequenza: un ragazzo livornese che ha appena concluso gli studi all’Alma e che quasi quasi non osa stringere la mano allo chef: “E’ stato fantastico, il carpaccio di branzino e il risotto sono stati formidabili, non ho parole. Posso fare una foto assieme a lei? Se la vede mia mamma sviene”, dice sottovoce. Segue una signora appena uscita dal coiffeur, si vede che si è preparata a lungo per un pranzo da Cracco: “Mi ha molto impressionato la professionalità dei ragazzi, sanno spiegare davvero bene quello che ci viene servito, sa io ho fatto l’insegnante e riconosco al volo chi è preparato”, racconta fra il pedante e il divertito.
Ultimi in ordine cronologico, una giovane coppia, bellissimi ed eleganti entrambi, soprattutto lei, sensuale e raggiante, sorridente e felice per aver potuto passare due ore da lui. “Chef, è stato fantastico, grazie”, sussurra con occhi languidi. Il fidanzato la guarda innamorato perso e le promette di riportarla.
Sono persone diverse fra di loro, appartengono a dei target diversi, però erano tutti qui per vivere una esperienza, perché è questo che vuole proporre Carlo Cracco: un’esperienza gastronomica di altissimo livello in un posto unico, speciale, ricco e carico di storia, tradizione e carattere, come lo racconterà in seguito. Certo, la parola esperienza è stata cannibalizzata e svuotata di ogni senso logico, tutti parlano di esperienze uniche, spesso a sproposito, però qui ha davvero un significato, anzi, il vero significato lo si trova qui, nel salotto milanese.
E ora spazio alle sue riflessioni e considerazioni. Abbiamo scelto di non rubare la scena togliendo le domande, leggendo le risposte dello chef si intuiscono facilmente.
Un primo bilancio? Per certi aspetti siamo avanti rispetto alle aspettative, onestamente pensavamo che l’inizio sarebbe stato più complicato. Per tutti noi vivere un’esperienza del genere è qualcosa di nuovo. Il lavoro procede bene, si entra nei dettagli, si migliora, c’era bisogno di un po’ di tempo per calibrare ogni particolare, man mano che andiamo avanti si definisce e si incastra tutto. La perfezione forse non esiste, ma lavoriamo per questo e spero che la gente se ne accorga.
Le difficoltà? Riuscire a trasmettere la sensazione di unicità.
L’idea è di creare un tempio della gastronomia, dove puoi degustare un menù di sette portate così come un piatto di spaghetti.
Mancava un posto del genere in Galleria, un ristorante che rispettasse la cultura, le radici, il carattere e la tradizione del posto, la carica storica del luogo. Vedere com’è stato ricomposto il tutto ci ha riempiti di orgoglio.
Se avete una sola ora a disposizione e volete mangiare un piatto al bistrot, vi suggerisco il riso al salto, da abbinare ad una Ribolla Gialla, Marina Danieli. Oppure il polpo con fagiolini neri, cialda di paprika, limoni e polvere di olive. Non da meno gli spaghetti con cozze, prezzemolo e zenzero. Sono piatti curati, leggeri, che ti lasciano spazio per un altro, così da poter tornare a lavorare senza sentirsi appesantiti.
Per quello che riguarda la pizza, mi dispiace non poterne fare più di cento al giorno.
La ricetta? Mi sono ispirato a Simone Padoan, un grande amico che conosco da quasi vent’anni e che ha rivoluzionato e reinventato la pizza. Ho preso spunto da lui, cercando di replicarla a modo mio. Mi piace precisare che la prepariamo nelle nostre cucine e ha lo stesso valore degli altri piatti che proponiamo al bistrot e al ristorante. In più, noi la vendiamo non la rivendiamo, come fanno in tanti qui in Galleria. La nostra pizza la abbinerei ad una birra bionda, solo nel caso mi sedessi più a lungo opterei per un Franciacorta. Però come idea la pizza è un piatto veloce, per questo sono un sostenitore dell’accoppiata con la birra.
La cantina? Sono molto fiero della nostra cantina, 1.800 etichette: è una delle migliori in assoluto.
Mi dispiace molto per la scomparsa di Giuseppe Rinaldi, era un personaggio unico, produceva un Barolo pazzesco. Aveva una sua visione, sono sicuro che le figlie sapranno mantenere il livello alto.
Una bella scoperta è stato il Timorasso di Carlo Lorenzo Bottazzi, grandissimo vino. Lui è bravo e capace.
Ormai si sta delineando la clientela che abbiamo al bistrot, idem per le persone che vengono da noi al ristorante. Siamo contenti perché possiamo offrire a tutti un abito cucito su misura, in base alle esigenze e anche alle possibilità. L’obbiettivo rimane quello di poter accontentare la clientela in un luogo unico per davvero. Alcuni scelgono il bistrot durante la settimana, all’ora di pranzo, per un piatto veloce, mentre poi nel fine settimana tornano per un menù completo al primo piano.
In molti vengono solo per fare i selfie? Siamo contenti di poter offrire un’opportunità del genere, ci sta e ci fa piacere.
Al secondo piano c’è lo spazio per gli eventi, questo lo si sa, mi preme sottolineare che non abbiamo un catering esterno, si prepara tutto qui: per ogni piano c’è una cucina, il che è fantastico.
Non riesco a capire perché in Italia sia diventato di moda lo stile minimal, ormai lo incontri ad ogni passo. E’ stato importato dai paesi nordici, ma noi cosa abbiamo in comune con gli scandinavi, perché lo copiamo e lo scimmiottiamo, perché ci snaturiamo invece di puntare sul nostro stile, che piace al mondo intero? Siamo italiani, facciamo sognare con il nostro stile, ce lo invidiano in tutto il mondo, che senso ha imitare gli altri? La Galleria Vittorio Emanuele è italianissima, per questo ho scelto di aprire qui. Mi riconosco, e tanto, in tutto quello che vedo attorno a me, dai colori all’architettura, mi rappresenta e cerco di dare un contributo.
Quello che mi dispiace è che esiste gente che viene qui esclusivamente per criticare e non per scoprire quello che stiamo facendo. Mi pare una mancanza di rispetto e anche di intelligenza.
Apprezzo invece chi sta capendo che dietro tutto questo lavoro mostruoso c’è un progetto, che cerchiamo di dare il massimo cucinando in maniera unica.
Un personaggio che mi piacerebbe avere a cena? Vasco Rossi.
Se ci riprendiamo la seconda stella? Mi interessa relativamente, comunque so già che nel caso la Michelin decidesse di premiarci la gente punterà il dito in maniera accusatoria, qualcosa del tipo “gliel’hanno data perché è Cracco, era tutto scritto”. Se invece la guida manterrà gli stessi giudizi si dirà che da noi si mangia male e di conseguenza non valiamo molto.
(Di Dominique Antognoni)
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